Lo Sportello Giustizia Donna al Senato

Presentazione della relazione sulla Vittimizzazione Secondaria delle donne

Lo Sportello Giustizia Donna ha preso parte venerdì 13 maggio alla Sala Koch del Senato della Repubblica alla presentazione della relazione sulla Vittimizzazione Secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli in particolare nei procedimenti che disciplinano l’affidamento e la responsabilità genitoriale.
La relazione riferisce dell’inchiesta svolta dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta sul Femminicidio volta ad accertare – giusto il mandato della Convenzione di Istanbul, che la menziona all’art. 31 - le reali dimensioni del fenomeno della Vittimizzazione Secondaria che, con particolare riferimento ai procedimenti giudiziari volti a disciplinare i rapporti endofamiliari connotati da vissuti di violenza di genere e/o domestica (separazioni, affidamento e limitazione/decadenza della responsabilità genitoriale), si realizza quando la risposta giudiziaria non riconosce o minimizza la violenza agita all’interno delle relazioni familiari, omettendo di adottare tutele e misure per proteggere la vittima da possibili condizionamenti e dalla reiterazione della violenza stessa.

L’indagine ha avuto come oggetto lo studio di tutti gli atti (quelli di parte, i verbali di causa, le relazioni dei Servizi Sociali e le Consulenze Tecniche d’Ufficio, i provvedimenti dei Giudici) di 1.411 fascicoli di procedimenti giudiziari iscritti a ruolo nell’anno 2017, integrato dall’analisi dei dati delle Procure e dei Tribunali.

L’esito dell’inchiesta non fa che confermare il fenomeno, ormai noto a chi si occupa di violenza di genere nella duplice e spesso coincidente sede giudiziaria civile e penale, della nociva e pregiudizievole contraddizione della risposta giudiziaria.
Di un ordinamento che, invero, da una parte indaga e condanna il maltrattante, pure spesso assumendo a suo carico misure predittive cautelari che ne interdicono ogni forma di contatto e prossimità con la vittima, e dall’altra, non accerta e non riconosce, sebbene sempre menzionata e documentata in atti, la violenza agita nell’ambito del nucleo – spesso pure rivolta al minore, ma in ogni caso da questo assistita – e, a causa di una errata applicazione del principio della cd “bigenitorialità”, cieca rispetto al vissuto familiare di riferimento e quindi alla ratio del preminente interesse del minore, non tara la genitorialità del genitore violento agli agiti commessi, e colpevolizza la madre degli esiti di un rapporto padre-figlio già compromesso dalla violenza di cui il minore è stato testimone.

La conseguenza di questo approccio non integrato e disconnesso tra gli accessi giudiziari, spesso concomitanti, delle donne vittime di violenza domestica, evidenziata da tutti i relatori chiamati dalla Presidente della Commissione parlamentare sul Femminicidio, senatrice e avvocata Valeria Valente, a commentare la relazione d’inchiesta, vanifica e ostacola le politiche di contrasto alla violenza di genere, poiché si traduce in una rinuncia delle donne a denunciare la violenza subita per il timore di non essere credute dai e nei Tribunali, e di vedersi contestare una “indegnità” genitoriale per il solo fatto di raccontare un vissuto di violenza dalla quale vogliono proteggere se stesse e i loro figli.

Il richiamo a infondate e non scientifiche teorie di alienazione genitoriale, di cui le madri sono spesso colpevolizzate (per ciò che in specie attiene la PAS, una recentissima sentenza della Cassazione lo ha definito illegittimo) – e che ha determinato l’abnorme assunzione di provvedimenti di allontanamento coatto dei figli dalle loro madri in ben 36 casi, evidenzia come la soluzione agli esiti della vittimizzazione secondaria nei casi di violenza di genere – lo stesso affidamento condiviso pronunciato per disciplinare i rapporti familiari connotati da vicende disfunzionali di violenza - rappresenta “una prima sconfitta per la lotta contro la violenza di genere” (Elvira Reale), è rappresentata da politiche e iniziative volte alla formazione di tutti i soggetti della rete e dei suoi operatori (giudici, avvocati, forze dell’ordine, assistenti sociali e consulenti tecnici), affinché siano in grado di riconoscere, accertare e leggere la violenza, di indagarne gli esiti sulle vittime – le donne e i loro figli – e di pronunciarsi adeguatamente, secondo i rispettivi mandati, fornendo tutela effettiva alle donne e ai loro figli, al fine di scongiurare il reiterarsi dei pregiudizi della violenza già subita.

È necessario dotarci della consapevolezza che solo il diffuso riconoscimento della violenza di genere in ogni ambito potrà permetterci di contrastarne efficacemente gli esiti, al pari del superamento della incultura dei pregiudizi e della disuguaglianza che ne è indubbia matrice.